La modulazione fisiologica di Ossigeno On Demand

Dedicato al Premio Nobel per la Medicina Capitolo tratto dal libro: la modulazione fisiologica di Ossigeno On Demand edra edizioni.

I tre scienziati, recita la motivazione del riconoscimento assegnato dal Karolinska Institutet di Stoccolma, “hanno
stabilito le basi per comprendere come i livelli di ossigeno influenzano il metabolismo cellulare e la funzione fisiologica”.
Tutti gli animali, e anche l’uomo, hanno bisogno di ossigeno per trasformare il cibo in energia utile. Ma se “l’importanza
fondamentale dell’ossigeno è nota da secoli, il modo in cui le cellule si adattano ai cambiamenti nei livelli di ossigeno è
rimasto per molto tempo misterioso”. E Kaelin, Ratcliffe e Semenza lo hanno spiegato.
Warburg aveva ragione!
Prof. Franco Canestrari, Dott.ssa Serena Benedetti, Dott.ssa Simona Catalani
Serena Benedetti (a), Francesco Palma (a), Barbara Nuvoli (b), Rossella Galati (b).
(a) Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Biochimica e Biotecnologie, Università degli Studi di
Urbino “Carlo Bo”; (b) UOSD “Modelli Preclinici e Nuovi Agenti Terapeutici”, IRCCS Istituto Nazionale
Tumori Regina Elena, Roma.
Indice del capitolo
1) Considerazioni generali
2) Una visione olistica
3) Il metabolismo della cellula tumorale e l’effetto Warburg
4) Mitocondri e apoptosi
5) Terapia biochimica: dal DCA ai modulatori fisiologici
6) Conclusioni e prospettive future

1) Considerazioni generali
Per tumore (dal latino tumor, «rigonfiamento») o neoplasia (dal greco néos, «nuovo», e plásis,
«formazione») si intende “una massa abnormale di tessuto che cresce in eccesso e in modo scoordinato
rispetto ai tessuti normali, e persiste in questo stato dopo la cessazione degli stimoli che hanno indotto il
processo”.
L’organismo umano è costituito da circa 200 diversi tipi di cellule che si caratterizzano per le loro
peculiari funzioni. Una minima parte di esse (circa il 10%) sono “immortali”, mentre le altre si rinnovano
continuamente; alcune cellule (ad esempio quelle del sangue) si rinnovano nel giro di giorni o settimane,
altre vivono per anni prima di esaurire il loro ciclo. Ogni giorno nascono circa mille miliardi di nuove cellule
e altrettante ne muoiono. Un equilibrio dinamico che non dovrebbe essere spezzato. Sfortunatamente
però, durante il suo ciclo vitale, una cellula subisce numerose aggressioni; se l’organismo non è in grado di
contrastare efficacemente questi attacchi, la cellula può sfuggire al controllo e accumulare mutazioni (le
cosiddette alterazioni genetiche) che interferiscono con i processi di proliferazione e di morte causando
problemi a livello di omeostasi cellulare. A questo punto tale cellula può riprodursi creando cellule sempre
più instabili che finiranno per generare un tessuto tumorale. E’ importante però fare una distinzione,
poiché alcune neoplasie proliferano, ma non si diffondono ad altri tessuti, mentre in altre alla proliferazione
si aggiunge la migrazione di alcune loro cellule che si dissociano dal tessuto tumorale e iniziano una
migrazione verso tessuti vicini o verso zone dell’organismo più distanti. Questa capacità di migrazione è ciò
che, fondamentalmente, distingue i tumori maligni (i cancri) da quelli benigni. In altre parole: un tumore
benigno rimane confinato all’organo nel quale ha iniziato il suo sviluppo, si espande, in genere in modo
decisamente lento, e può comprimere i tessuti vicini, danneggiandoli e creando problemi funzionali, ma
non ha capacità infiltrative; un tumore maligno invece cresce, solitamente in modo rapido, infiltra i tessuti
vicini, li invade e inoltre può, attraverso le vie linfatiche e quelle sanguigne, colonizzare altri organi
(processo di metastatizzazione). Le cellule che hanno abbandonato la loro sede di origine (dando luogo alle
cosiddette metastasi) vengono anche denominate cellule colonizzatrici. Tutti i tumori, siano essi benigni o
maligni, hanno due componenti di base: (a) cellule neoplastiche clonali che costituiscono il parenchima
tumorale e (b) uno stroma di sostegno costituito da tessuto connettivo, vasi sanguigni, macrofagi e linfociti.
Benché a determinare il comportamento del tumore e le sue conseguenze patologiche siano
fondamentalmente le cellule neoplastiche, la loro crescita ed evoluzione dipendono dallo stroma perché è
indispensabile un adeguato apporto di sangue affinché le cellule tumorali sopravvivano e si replichino. Il
tessuto connettivo stromale fornisce invece il supporto strutturale essenziale per le cellule in
accrescimento (1). Le mutazioni necessarie che una data cellula deve accumulare per dare origine a un
cancro sono le seguenti, e sono comuni a tutti i tipi di cancro:

– acquisizione dell’autonomia moltiplicativa per sopravvenuta incapacità a sottostare ai meccanismi
regolatori della proliferazione cellulare;
– assenza di inibizione dipendente dalla densità (le cellule normali si moltiplicano fino ad una definita
densità cellulare, raggiunta la quale diventano quiescenti);
– ridotta capacità di adesione con altre cellule o componenti tissutali;
– assenza di matrice extracellulare (spesso digerita da proteasi) che favorisce l’invasione
di tessuti normali adiacenti;
– angiogenesi: formazione di nuovi vasi sanguigni per fornire ossigeno e fattori nutritivi alle cellule
tumorali;
– riduzione o perdita della capacità differenziativa;
– acquisizione della capacità di replicazione illimitata per effetto dell’espressione della telomerasi o
con sistemi alternativi chiamati “ALT” (Alternative Lengthening of Telomeres);
– riduzione o perdita della possibilità di andare incontro a morte cellulare programmata (apoptosi);
– perdita della cosiddetta inibizione da contatto.
Per diventare mobili e liberarsi del tumore iniziale, le cellule tumorali hanno bisogno di aiuto da parte di
altre cellule presenti nel loro ambiente. Molte cellule sono state implicate in questo processo, incluse
cellule del sistema immunitario e quelle del tessuto connettivo. Altri collaboratori delle metastasi sono le
piastrine, le cellule del sangue la cui normale funzione è quella di promuovere la coagulazione del sangue.
Il ruolo esatto svolto dalle piastrine è stato sempre poco chiaro, ma un recente studio (2) dimostra che
queste cellule emettono segnali chimici che inducono le cellule tumorali a diventare più invasive e a
stabilirsi in un nuovo sito. Di fronte all’attacco tumorale, le piastrine possono promuovere lo sviluppo e la
strutturazione del microcircolo, ma l’influenza maggiore è data probabilmente dal supporto che le piastrine
danno al tumore per l’ingresso nel circolo sanguigno. In questo ambiente dinamico e in relazione alle loro
specifiche caratteristiche, le piastrine possono promuovere la progressione ematogena tumorale
completando le proprietà adesive del tumore e modulando la protezione delle cellule immunitarie
deputate al controllo dell’organismo (Figura 1).

Figura 1: Contributo delle piastrine alla progressione ematogena tumorale.

Il termine “ cancro” è segnato, nei nostri tempi, da un marchio di terribilità, quasi esprimesse un mito di
peccato e perdizione o un incombente significato di espiazione di oscure colpe dell’umanità; si evita persino
di farne il nome, indicandolo in via allusiva. Si dice che, ad onta di tanti studi sull’argomento, i risultati
ottenuti in questi anni siano stati in parte deludenti pur avendo cercato di giungere al centro del labirinto
dove ha sede il “mostro”(3). Fra tutti i pericoli che dobbiamo fronteggiare, il cancro costituisce una reale
minaccia: esso è infatti in grado di interessare una persona su tre prima dei 75 anni ed una su quattro può
soccombere in seguito alle complicazioni ad esso correlate. Il cancro è onnipresente e multiforme; nelle
società occidentali, in cui la popolazione è sostanzialmente sana, ricca e longeva, l’insorgenza costante di
neoplasie rappresenta una delle sfide più ardue per la comunità scientifica. Si dice spesso che ogni tumore
è unico, ogni individuo vive la sua battaglia contro questa malattia, affrontando la sfida più difficile in
maniera individuale ma, se ci soffermiamo su questo punto, troviamo una possibile spiegazione se
pensiamo alla domanda: chi siamo o cosa siamo noi? La risposta è che siamo una comunità di cellule che si
sono messe insieme a formare “ una statalizzazione di cellule” come la chiama Enderlein (4) dopo aver
maturato la strategia, lungo milioni di anni, sulle migliori modalità di sopravvivere, ma non dimenticando di
essere state in tempi remotissimi organismi unicellulari. La cellula attuale è il risultato dell’evoluzione di
una cellula primitiva, apparsa sulla Terra circa 3,5 miliardi d’anni fa, che somigliava più ad un batterio che a
quella che conosciamo oggi. A tal proposito, parlando oggi di DNA mitocondriale facciamo riaffiorare l’idea
della remota colonizzazione della cellula da parte dei batteri che poi evolutivamente hanno dato origine ai
mitocondri. Su queste basi si pensa che ogni cellula del corpo possa contenere in memoria le informazioni
complete di tutto il sistema e a tal fine bisogna pensare ad una trasmissione di informazioni. L’organismo
potrebbe inviare informazioni sbagliate, attraverso quelle che oggi definiamo le “molecole informazionali”
che hanno fornito le basi del nuovo paradigma della Medicina informazionale (vedi più avanti la visione
psico-neuro-endocrino-immunologica (PNEI) del cancro).

 

In questo caso una parte di cellule della comunità non risponde più al Direttore dell’orchestra secondo
quella che il fisiologo Denis Noble (5) chiama “ la musica della vita”. Queste cellule senza un controllo
generale sono indotte ad errori, almeno secondo la nostra interpretazione e magari non si potrebbero
ritenere errori in una logica evolutiva. Anatoly Lichtestein (6) propone una ipotesi medica nella quale il
cancro viene visto in relazione ad un “cambiamento di paradigma” rispetto alla attuale considerazione
di essere il prodotto di un limitato disegno di un organismo multicellulare e della sua intrinseca fallibilità.
Nel nuovo paradigma della carcinogenesi si ipotizza un fenomeno biologico altamente conservato: una
morte programmata dell’organismo”. A supporto di questa teoria ci sono i seguenti punti: (a) le
modificazioni epigenetiche portano alla precoce comparsa del cancro simultaneamente in molte cellule
secondo una logica deterministica; (b) il concetto delle cellule staminali neoplastiche suggerisce per il
cancro non solo una vaga “trasformazione” ma una vera “differenziazione”; (c) le relazioni
tumore/ospite sono interpretate come antagoniste ma in realtà sono sinergiche secondo quella che oggi
chiamiamo la “visione olistica”;
(d) la morte del soggetto per il cancro è predeterminata apparentemente a causa delle specifiche attività
“killer” delle cellule neoplastiche; (e) la conservazione evolutiva indica che il tumore insorge con un
vantaggio generale che si può spiegare come successo evolutivo. Mutano quindi le più comuni logiche
cellulari nell’ambito dell’oncologia quali:  incapacità di rinnovarsi costantemente almeno per le cellule
dell’organismo in grado di farlo, a tale proposito i filosofi hanno detto: ”non esiste nulla di più durevole
come il cambiamento”; evasione dal suicidio benefico, l’apoptosi, una forma di eutanasia cellulare
utilizzata normalmente da quelle cellule che hanno accumulato danni intracellulari non riparabili, 
elusione dei controllori dell’organismo come le cellule NK del sangue. Sono comunque errori commessi
dalle nostre stesse cellule, sicuramente facilitati dai vari fattori di rischio, ed altre concause, che comunque
portano a ritenere endogena l’origine del cancro. Per arrivare alla malattia è comunque necessario
superare il cosiddetto valore soglia di tutti gli elementi concorrenti (figura 2) e bisogna considerare anche i
fattori di rischio, come nel caso del cancro.

 

 

Figura 2: Superamento del valore soglia di vari elementi concorrenti per giungere al verificarsi della
malattia.

 

Tutto ciò ci riconduce a degli importanti interrogativi che cita Mel Greaves (7) al quale rimandiamo il lettore
e per ragioni di spazio riportiamo il principale di questi: Perché esiste il cancro? Pur non riuscendo a
dare una risposta plausibile a questo quesito possiamo oggi affermare che disponiamo di alternative in
grado di contrastarlo quali: la diagnosi precoce, le terapie naturali e non, ma soprattutto, sulla base degli
insuccessi, la prevenzione che rappresenta l’obiettivo fondamentale sul quale far convergere gli sforzi
scientifici.
2) Una visione olistica
Apriamo questo paragrafo con una affermazione del grande fisico Niels Bohr: “Il contrario di una
corretta affermazione è la falsa affermazione. Ma l’opposto di una profonda verità potrebbe
essere un’altra profonda verità”. Molti fattori confluiscono in una visione olistica del cancro che
andrebbero studiati e valutati, tra questi si ricorda:
– lo stato infiammatorio del soggetto;
– la componente psichica e specialmente la presenza di una condizione depressiva;
– la funzionalità del microbiota intestinale e le sue relazioni con il sistema immunitario locale e generale;
– le abitudini alimentari e gli stili di vita;
– la qualità del sonno;
– altri fattori compresi quello che oggi viene definito PNEI, un sistema che presiede e coordina la
componente psico-neurologica, quindi le funzioni superiori del soggetto con quella più operativa, la
componente endocrino-immunologica.
Il cancro è una malattia multifattoriale a tappe. In ognuna di queste fondamentali tappe
l’organismo ha a disposizione risorse che consentono l’espulsione del cancerogeno, la riparazione dei
segmenti danneggiati di DNA, la liquidazione della cellula che non può autoripararsi, fino al controllo della
diffusione metastatica di un tumore primitivo. Gli stili di vita influenzano ognuna di queste tappe, come
messo bene in evidenza da Francesco Bottacciolo, divulgatore scientifico della Psico-Neuro-EndocrinoImmunologia

Quindi bisogna ragionare in termini di “puzzle” dove l’immagine è definita solamente in presenza di
una giustapposizione dei singoli pezzi e con la stessa logica potrebbe essere rappresentata la funzionalità
dell’intera comunità cellulare, costituita da oltre 200 tipi diversi di cellule, ognuna con una specifica
funzione e specializzazione all’interno della comunità. A questi aspetti generali si affiancano quelli più
specifici come il ruolo degli oncogeni ed oncosoppressori, i telomeri e la telomerasi (quest’ ultimo enzima
viene riespresso nelle cellule neoplastiche, pertanto alcuni farmaci vengono appunto definiti inibitori delle
telomerasi), i fattori di crescita, i microRNA, la perdita dell’inibizione da contatto (una caratteristica dei
tumori), la logica delle cellule staminali tumorali e la loro resistenza ai chemioterapici, il ruolo dello stress
ossidativo (anche per questi aspetti si rimanda ai testi specifici).
Ritornando a Bohr, l’illustre fisico si è soffermato a lungo sulla paradossale abilità della natura di
combinare l’incompatibile. Nel cancro vi sono due ipotesi a confronto: “il cancro è una malattia dei
geni” e quindi la sua origine è riconducibile alle mutazioni geniche, oppure “ il cancro è una malattia della
regolazione dei geni” e quindi è dovuta a cambiamenti delle strutture deputate al controllo genico. Con la
scoperta degli “oncogeni” la visione da parte dei genetisti della carcinogenesi come Evoluzione Darwiniana
mediante numerosi cicli “step-by-step” di mutazioni selettive ha trionfato. Questo rimane comunque un
aspetto complesso da studiare e dimostrare mediante il metodo di esperimento/errore.
Lo sviluppo del tumore è preceduto da una fase “multi-step” di trasformazione, con stadi successivi
di progressione e nel caso di insuccesso delle terapie all’exitus. L’ordine degli eventi è in una certa misura
prevedibile: aggressività del tumore, inefficacia delle difese del soggetto, riduzione della forza vitale,
sindrome paraneoplastica e morte. Recenti esperimenti suggeriscono che la trasformazione maligna è un
processo altamente cooperativo con sinergie a vari livelli della regolazione. Questa aspettativa è correlabile
con i dati circa l’importante ruolo dell’epigenetica nella carcinogenesi, scoperta che non solo aggiunge
un’altra complicazione ad un meccanismo già complesso, ma fa qualcosa di più: aggiunge l’opposizione di
Bohr dell’ incompatibile: il Caos e l’Ordine. Infatti, la mutazione è un evento caotico, raro, casuale, anche se
alcune deviazioni dalla casualità assoluta possono esistere, ed avviene in cellule singole (sono monoclonali).
L’epigenetica, al contrario, è una forma di realizzazione dell’Ordine, che riguarda l’intero genoma, ed opera
grazie a dei processi complessi (metilazione del DNA, modifica della cromatina, regolazione dei microRNA);
si stabilisce durante l’embriogenesi e si snoda per tutta la vita successiva. Le modificazioni epigenetiche che
portano al cancro sono trasmissibili, compaiono precocemente e contemporaneamente in molte cellule
(policlonali) e in alcuni casi sembrano rispondere a delle “istruzioni”. Il destino di alcuni geni di subire
metilazioni durante la trasformazione non è apparentemente accidentale, ma è impressa nel genoma
cellulare (9). Il grande numero di eventi epigenetici ben coordinati durante la carcinogenesi pone dei dubbi
in quanto eventi stocastici e porta a ritenerli programmati (10). Significativa è l’evidenza dell’importante
ruolo di entrambi i componenti della cancerogenesi: mutagenesi ed epigenetica. Più difficile è capire ciò
che è primario e ciò che è secondario. La risoluzione di questo problema darà la possibilità di scoprire se il
cancro è un evento casuale o naturale, e in una prospettiva più ampia, quale sia la natura di questo
fenomeno biologico. Nuovi dati che emergono dalla letteratura scientifica conducono all’ipotesi di un
nuovo paradigma della carcinogenesi, secondo cui il cancro non è un difetto nella normale differenziazione
ma piuttosto una differenziazione alternativa delle cellule staminali (11) o di cellule progenitrici del cancro
(12). In definitiva si innesca e si attiva un programma criptico che forma un organo speciale (tumore) il
quale sfugge alla logica degli altri organi che interagiscono tra loro e rispondono al sistema immunitario. Le
cellule tumorali possono anche proteggersi dai danni dello stress ossidativo e diffondersi. Questo farebbe
pensare ad una loro intrinseca capacità antiossidante e quindi una loro resistenza agli ossidanti che
usualmente sono in grado di danneggiare le cellule normali (13); pertanto fornire antiossidanti esogeni al
sistema potrebbe teoricamente favorire le cellule tumorali!

3) Il metabolismo della cellula tumorale e l’effetto Warburg

Prima di affrontare l’argomento “Warburg” è d’obbligo introdurre nella scena l’attore principale,
l’ossigeno, in considerazione del fatto che la vita aerobica si è evoluta in modo tale che la sua mera
sopravvivenza dipenda dall’ossigeno molecolare. La fosforilazione ossidativa mitocondriale richiede
necessariamente ossigeno per generare energia utile negli aerobi come l’uomo e gli altri mammiferi.
L’omeostasi di questi organismi è rigorosamente mantenuta grazie ad uno stato ottimale di ossigenazione
cellulare e tessutale controllato da complessi meccanismi sensori dell’ossigeno, reazioni a catena che
fungono da segnali e processi di trasporto. Nel caso si verifichi una fluttuazione dei livelli di ossigeno che
determini un aumento (iperossia) o una diminuzione (ipossia) di ossigeno molecolare, l’organismo si
ritroverebbe ad affrontare una crisi che comporterebbe la deplezione delle riserve energetiche, alterazioni
dei segnali a cascata, reazioni/eventi ossidativi, e morte cellulare o danno tessutale. L’ossigeno molecolare
è attivato sia da meccanismi enzimatici che non enzimatici e convertito in specie radicaliche altamente
reattive (ROS) (Figura 4) (14).
Figura 4: Le diverse specie di ROS derivanti dall’ossigeno molecolare.
La rivalutazione dell’effetto “Warburg” nei tumori è come il ritrovamento della ritrovare la strada
maestra per un viandante o la rotta per il navigante dopo tanti decenni di attenzione alla ricerca di nuove
strategie terapeutiche e rappresenta la riscoperta del ruolo fondamentale della biochimica della cellula
neoplastica e del suo ambiente circostante, la matrice extracellulare, che ha visto in Pischinger uno dei
massimo esperti (15). Questo autorevole ricercatore austriaco e Professore di Istologia ed Embriologia
all’Università di Vienna già nel 1975 presentò le sue idee circa il “Sistema della Regolazione di Base”
percependo la debolezza della teoria di Virchow che nel lontano 1858 formulò le basi della patologia
cellulare. Lo stesso Pischinger nel 1983 si espresse come segue: ”Essenzialmente il concetto di cellula è
soltanto un’astrazione morfologica. Considerato dal punto di vista biologico, non può essere accettato senza
l’ambiente vitale della cellula”. Alla matrice cellulare arrivano sia le informazioni chimiche per la cellula,
quali gli ormoni ed i nutrienti, che quelle nervose (sistema vegetativo), le cui fibre finiscono libere nella
matrice. Inoltre, in qualità di filtro, la matrice rappresenta il primo emuntorio per esportare le scorie
derivanti dal metabolismo cellulare grazie agli intensi scambi vascolari e linfatici. Se tale filtro è
danneggiato, gli scambi non avvengono e nel caso della malattia neoplastica vi è il rischio che il tumore
venga disseminato non solo per via linfatica ma anche per via ematica, attraverso la vena cava superiore. Di
seguito è riportato il disegno originale e storico dello stesso Pischinger del 1960 (Figura 5).
Figura 5: Disegno originale di Pischinger rappresentante il sistema della regolazione di base.
Il ruolo fondamentale della matrice è stato anche affrontato dalla Omotossicologia, una branca
della medicina non convenzionale che vede in Hans-Heinrich Reckeweg uno dei suoi pilastri (16). Secondo
Reckeweg la matrice extracellulare è il commutatore che modula l’alternarsi ciclico dei flussi acido ed
alcalino dipendenti dal sistema nervoso simpatico e parasimpatico.
Lungi da una visione riduttiva della malattia oncologica che ha sicuramente origine multifattoriale e
visti anche i vani tentativi di coloro che in passato si sono cimentati nel chiarirne l’eziologia (virale,
immunitaria, genetica, tossica, alimentare, ambientale ecc.), il dato certo è che in carenza di ossigeno il
metabolismo della cellula neoplastica viene modificato in fermentazione, via metabolica normalmente
poco utilizzata dalle cellule dei mammiferi, uomo compreso. Cosa pensate che faccia una cellula che riceve
cronicamente troppo poco ossigeno, prima di andare incontro a morte? La cellula “ricorda” che, prima dello
sviluppo della respirazione, viveva proprio grazie alla fermentazione; questo è un concetto importante per
comprendere la degenerazione neoplastica, infatti in caso di carenza di ossigeno, il metabolismo della
cellula viene modificato in fermentazione. Si ritorna quindi a Warburg che nel 1921 dimostrava che le
cellule tumorali esibivano una inusuale richiesta di glucosio con concomitante alta produzione di acido
lattico, pur in presenza di ossigeno. Questa condizione è nota come glicolisi aerobica o effetto Warburg.
Infatti, una delle principali particolarità della maggior parte dei tessuti tumorali è il loro
metabolismo energetico legato al glucosio: le cellule cancerose utilizzano preferenzialmente la glicolisi
aerobia per la produzione di energia, anche in presenza di ossigeno (17). Le cellule non cancerose invece
metabolizzano il prodotto finale della via glicolitica, il piruvato, nei mitocondri, attraverso il ciclo di Krebs e
la fosforilazione ossidativa, pathway metabolico particolarmente vantaggioso dal punto di vista energetico
poiché porta alla produzione di 36 molecole di ATP per molecola di glucosio metabolizzata (Figura 6
pannello a destra).
Le cellule tumorali, al contrario, inibiscono la completa ossidazione mitocondriale del piruvato, il
quale viene preferenzialmente convertito in lattato (Figura 6 pannello a sinistra) dalla Lattato deidrogenasi
(LDH).

 

L’enzima LDH è di fondamentale importanza per le cellule tumorali poiché consente di ripristinare il
livello citosolico di NAD+
, necessario in quanto cofattore dell’enzima Gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi
(GAPDH), NAD+
-dipendente; pertanto i due enzimi svolgono un ruolo chiave nel far sì che la glicolisi proceda
(Figura 7).
Figura 7: Cooperazione tra LDH e GAPDH.
Il profilo glicolitico tipico delle cellule cancerose porta ad una bassa produzione di ATP per ogni molecola di
glucosio metabolizzata, perciò le cellule tumorali tendono ad up-regolare i trasportatori del glucosio,
appartenenti alla famiglia GLUT, in modo da aumentare significativamente l’assorbimento dell’esoso nel
tentativo di raggiungere una adeguata resa energetica (18).
La glicolisi aerobia venne osservata per la prima volta nel 1924 dal premio Nobel Otto Heinrich Warburg, da
cui “effetto Warburg” (19), il quale suggerì come tale fenomeno fosse il risultato di una disfunzione
mitocondriale che impedisce l’ingresso e quindi l’ossidazione completa del piruvato nei mitocondri.
Ma perché le cellule tumorali, altamente proliferanti e richiedenti energia, dipendono dalla glicolisi
aerobia piuttosto che dall’ossidazione del glucosio, energeticamente più vantaggiosa? Lo studio di Gatenby
e Gillies offre una spiegazione: gli studiosi affermano che all’inizio della carcinogenesi le cellule trasformate
si affidano alla sola glicolisi anaerobica per la produzione di ATP, poiché si trovano in un microambiente
ipossico. In queste condizioni viene attivato il fattore ipossico HIF-1 che promuove a sua volta l’espressione
di diversi trasportatori del glucosio e di enzimi, quali la piruvato deidrogenasi chinasi (PDK). La PDK è un
enzima regolatore che, quando attivo, è in grado di inibire il complesso multienzimatico della piruvato
deidrogenasi (PDH), responsabile della conversione del piruvato in acetil-CoA, limitando così l’ingresso del
piruvato nel ciclo dell’acido citrico e quindi la sua ossidazione a livello mitocondriale (20). Sebbene i tumori
con il tempo diventino vascolarizzati grazie al processo di neoangiogenesi promosso anche da HIF e non
risultino più in uno stato ipossico (se non a volte nella porzione più centrale), il profilo glicolitico persiste.
Da ciò Gatenby e Gillies hanno concluso che la glicolisi anaerobia, meccanismo precoce e adattivo
delle cellule cancerose contro l’ipossia, conferisca un vantaggio per la sopravvivenza delle cellule tumorali
che mantengono tale profilo metabolico anche in presenza di ossigeno (21).
Di fatto, recenti evidenze suggeriscono che la trasformazione verso un fenotipo glicolitico offra
resistenza al processo di morte cellulare programmata (apoptosi): molti degli enzimi coinvolti nella glicolisi
sono infatti anche importanti regolatori dell’apoptosi, tra cui l’esochinasi (HK). L’attivazione di HK porta alla
soppressione della morte per apoptosi: HK attivata promuove la sopravvivenza cellulare in quanto,
traslocando dal citoplasma alla membrana mitocondriale, si lega ai canali anionici voltaggio-dipendenti
(VDAC) presenti nella membrana mitocondriale esterna e impedisce l’attivazione di numerose molecole
pro-apoptotiche. Non sorprende dunque che l’HK risulti up-regolata in molti tumori (22).
4) Mitocondri e apoptosi
L’alterazione della funzione mitocondriale che caratterizza il profilo metabolico glicolitico delle
cellule tumorali, potrebbe essere determinante nell’indurre in esse resistenza all’apoptosi (19). L’apoptosi è
implicata sia nel corretto mantenimento dell’omeostasi che in meccanismi difensivi; si tratta di un processo
lento, dispendioso in termini energetici e ben distinto dalla necrosi (23). La messa in atto del processo
apoptotico è in stretta relazione a svariati fattori, tra i quali la natura del segnale di morte, l’intensità e la
durata dello stimolo, la disponibilità di ATP e di caspasi, etc. La morte per apoptosi avviene in genere in
singole cellule o in piccoli aggregati cellulari e le più importanti caratteristiche morfologiche sono (Figura 8):
(a) riduzione delle dimensioni della cellula, (b) membrana cellulare intatta, (c) condensazione
citoplasmatica e organuli intatti, (d) formazione di estroflessioni sulla superficie cellulare, (e) carioressi
(frammentazione nucleare), (f) gemmazione di corpi apoptotici, (g) fagocitosi dei resti cellulari (da
macrofagi o cellule adiacenti) e assenza di infiammazione.
Figura 8: Caratteristiche morfologiche delle cellule apoptotiche e necrotiche (24).
I meccanismi alla base dell’apoptosi sono molto complessi e coinvolgono una cascata di segnali molecolari
ATP-dipendenti. Due sono le principali vie apoptotiche:
– via estrinseca (o pathway di morte recettoriale),
– via intrinseca (o mitocondriale).
Vi è inoltre un terzo pathway che coinvolge il rilascio di Perforina e Granzyme (B o A) da parte dei linfociti T
citotossici (Figura 9).
Le vie estrinseca ed intrinseca e il pathway granzyme B convergono nella medesima via esecutiva, mediata
dal taglio della caspasi-3. Tale enzima, una volta attivato, determina la frammentazione del DNA, la
distruzione di proteine citoscheletriche e nucleari, il cross-linking delle proteine, la formazione di corpi
apoptotici e l’espressione di ligandi per i recettori delle cellule fagocitarie, cui segue la fagocitosi mediata
dai macrofagi o dalle cellule adiacenti. Il pathway perforina/granzyme A attiva invece un percorso di morte
cellulare parallelo, caspasi-indipendente, tramite rottura a singolo filamento del DNA (23).
Figura 9: Rappresentazione schematica dei tre possibili pathways apoptotici (23).
Come mostrato in figura 9, ogni pathway, ad eccezione di quello che coinvolge il granzyme A, attiva la
propria caspasi iniziatrice (8, 9, 10), la quale a sua volta porta al clivaggio di un effettore comune: la caspasi
3. Le caspasi sono cistein-proteasi che tagliano il proprio substrato dopo residui di acido aspartico e sono
generalmente espresse in forma inattiva a livello citoplasmatico, come pro-caspasi, rappresentando dei veri
e propri effettori di apoptosi. Una volta attivate, le caspasi sono in grado di avviare una cascata proteolitica
che porta all’attivazione di ulteriori pro-caspasi, amplificando il pathway apoptotico.
Ad oggi, sono state identificate dieci caspasi principali, classificate in iniziatrici (caspasi -2, -8, -9, -10),
effettrici (caspasi-3, -6, -7) ed infiammatorie (caspasi-1, -4, -5) (24). Uno dei più importanti bersagli della
caspasi-3 è ICAD, inibitore di CAD (DNasi attivata da caspasi). CAD è una endonucleasi, Ca2+ e Mg2+

dipendente, che, una volta attivata, innesca la rottura del DNA con conseguente formazione dei tipici
frammenti di 180-200 bp; quest’ultimo evento è un processo tardivo che contraddistingue l’apoptosi, è
noto come “DNA ladder” ed è rilevabile mediante analisi elettroforetica (23). Un’altra caratteristica
biochimica che contraddistingue la cellula apoptotica è l’espressione sulla superficie cellulare di markers
che determinano il riconoscimento delle cellule apoptotiche da parte dei macrofagi o delle cellule adiacenti
(es fosfatidilserina), permettendo la successiva fagocitosi (25).
La via intrinseca, su cui sarà focalizzata l’attenzione in questo capitolo, è altrimenti detta via mitocondriale
ed implica una corretta funzionalità di tali organelli, la cui disfunzione promuove la resistenza all’apoptosi,
tipica delle cellule tumorali.
Il pathway intrinseco è di norma promosso da una vasta gamma di stimoli che producono segnali
intracellulari e causano cambiamenti nella membrana mitocondriale interna. Tali cambiamenti si traducono
nell’apertura del poro di transizione della permeabilità mitocondriale (MPT), nella perdita del potenziale di
membrana del mitocondrio e nel rilascio, nel citosol, di proteine pro-apoptotiche, di norma sequestrate
nello spazio intermembrana mitocondriale (26), tra cui il citocromo C. Il citocromo c, una volta liberato nel
citosol, forma un complesso con Apaf-1 (apoptotic protease activating factor) e con la pro-caspasi-9.
Questo provoca un cambiamento conformazionale che permette l’assemblaggio con altre proteine
andando a formare un complesso eptamerico chiamato apoptosoma. A questo fa seguito l’attivazione della
caspasi-9 che, a sua volta, promuove l’attivazione di caspasi effettrici, come la -3, la -6 e la -7, innescando
un fenomeno di amplificazione che conduce la cellula al suo inevitabile destino di morte (23).
Il controllo e la regolazione di questi eventi apoptotici mediati dai mitocondri avviene attraverso i membri
della famiglia di proteine Bcl-2 (27) per la cui regolazione la proteina oncosoppressore p53 si ritiene svolga
un ruolo critico.

 

Le proteine appartenenti alla famiglia Bcl-2 si dividono in pro-apoptotiche e anti-apoptotiche e tutte
regolano la permeabilità della membrana mitocondriale. Tra le proteine anti-apoptotiche vi sono Bcl-2, Bclx, Bcl-XL, Bcl-XS, Bcl-w, BAG, mentre tra i membri pro-apoptotici vi sono Bcl-10, Bax, Bak, Bid, Bad, Bim, Bik,
e Blk. Il probabile principale meccanismo d’azione delle proteine della famiglia di Bcl-2 si ritiene sia la
regolazione del rilascio del citocromo c dai mitocondri mediante l’alterazione della permeabilità della
membrana mitocondriale (23).
Processi patologici, tra cui il cancro, possono scaturire da anormalità nella regolazione dell’apoptosi;
pertanto si ritiene che la sua soppressione giochi un ruolo centrale nello sviluppo e nella progressione di
alcuni tipi di cancro (28).
Sono svariati i meccanismi molecolari che le cellule tumorali usano per sottrarsi all’apoptosi, ad esempio
mediante up-regolazione di proteine anti-apoptotiche come Bcl-2, down-regolazione (o mutazione) di
proteine pro-apoptotiche come Bax (23) o mediante alterazione della funzione mitocondriale che
caratterizza le cellule cancerose. In queste ultime si verifica la soppressione dell’ingresso del piruvato nei
mitocondri e quindi il blocco della produzione di acetil-CoA; ciò riduce drasticamente sia il ciclo di Krebs che
la catena di trasporto degli elettroni ETC, e quindi anche l’apertura del MTP, la depolarizzazione di
membrana mitocondriale e l’apoptosi (17).
5) Terapia biochimica: dal DCA ai modulatori fisiologici
Gli interventi terapeutici anticancro, come già accennato, trovano grandi ostacoli per il fatto che il tumore è
di origine multifattoriale e risente enormemente degli stili di vita; inoltre lo stesso processo multistep può
essere attivato da vari carcinogeni ambientali e da promotori tumorali. Questi carcinogeni possono
modulare :
– fattori di trascrizione: NK-kB, AP-1,STAT-3;
– proteine anti-apoptotiche: AkT,Bcl-2, Bcl-X-L;
– proteine pro-apoptotiche: caspasi ,PARP;
– protein-chinasi: IKK,EGFR, HER2, JNK, MAPK;
– proteine del ciclo cellulare: cicline, chinasi cicline-dipendenti;
– molecole di adesione;
– COX-2;
– fattori di crescita.
E’ indubbio che conoscere il metabolismo della cellula tumorale e poter interagire a livello metabolico
semplificherebbe molto l’intervento terapeutico. Oggi l‘evidenza di un “fenotipo tumorale” e la scoperta
relativamente recente di una molecola come il dicloroacetato (DCA), utilizzata da oltre 25 anni nel
trattamento di malattie mitocondriali infantili e attualmente dimostratasi efficace in campo oncologico
poiché in grado di inibire la famiglia della piruvato deidrogenasi chinasi (PDK 1-4), hanno indotto importanti
sviluppi e ampliato il campo terapeutico non solo alle terapie biologiche, ad oggi adoperate, ma anche a
quelle biochimiche. Si è cominciato a parlare del DCA nel 2007 quando Bonnett e coll. (29) con studi
preclinici e clinici, hanno scoperto la sua valenza terapeutica in vitro.
Successivamente Michelakis e coll. nel 2008 (17) e Papandreu e coll. nel 2011 (30) hanno portato nuove
evidenze su questa piccola ma importante molecola antitumorale. Da allora ad oggi non sono emerse
ulteriori evidenze ma verosimilmente ciò non è dovuto alla mancanza di efficacia ma a motivi che spesso
vanno al di fuori dei canoni scientifici!
Altro settore di attuale interesse è quello dei composti fitochimici della dieta come possibili agenti
preventivi del cancro o di supporto alle terapie convenzionali come già messo in evidenza nel 2006 da
Aggarwal (31) che ha da tempo svolto attività di ricerca in questo settore. I fitochimici possono svolgere
questo ruolo secondo diverse modalità:
– bloccando l’iniziazione della carcinogenesi attraverso l’induzione di enzimi
detossificanti/antiossidanti via Nrf2-Keap1 (Figura 10);
– inibendo la progressione della carcinogenesi per attivazione della via apoptotica;
– rimuovendo le anomale alterazioni epigenetiche come meccanismo anticancro;
– rimuovendo l’autorinnovamento potenziale delle cellule staminali neoplastiche.
Figura 10: Inibizione della carcinogenesi attraverso l’induzione di enzimi ad azione detossificante e
antiossidante attraverso Nrf2-Keap1.
Tenuto conto che la diagnosi precoce del cancro è sempre molto complessa per il fatto che spesso la
malattia è asintomatica, queste strategie di tipo dietetico sono comunque importanti sia per il fatto che i
composti fitochimici vengono consumati quotidianamente e possono svolgere un ruolo chiave nella
chemoprevenzione, sia per la loro possibile azione di supporto a farmaci quali gli antinfiammatori non
steroidei (NSAIDs), le statine, tamoxifene e finasteride (32) come evidenziato in figura 11.
Figura 11: Ruolo chiave svolto dai composti fitochimici nella chemoprevenzione e come supporto a
numerosi farmaci.
Nella prevenzione oncologica sono state suggerite anche diete a basso contenuto di carboidrati (33) e diete
multivitaminiche (34) nell’ipotesi che carenze di fattori vitaminici possano essere co-responsabili di rischio
mutageno. Tuttavia, oggi vi è la tendenza a pensare che la correzione di un alterato metabolismo
energetico nel cancro sia forse l’unica opportunità di un logico intervento terapeutico (35). In tal senso si
inserisce tutta la logica della riprogrammazione e rimodulazione cellulare ed in questo contesto un ruolo
chiave è svolto da CELLFOOD®
, come messo in evidenza dai risultati delle ricerche esposti nei capitoli
successivi.
Negli ultimi anni il tradizionale approccio terapeutico alle patologie che possono derivare da squilibri redox
e dai conseguenti danni a diversi target molecolari (DNA, proteine e lipidi), si sta aprendo sempre di più al
contributo degli integratori antiossidanti. Tra questi vi è l’integratore naturale CELLFOOD®
, noto anche
come Deutrosulphazyme, che trova applicazione in patologie che vanno dall’invecchiamento cellulare
all’insorgenza di disordini cronico-degenerativi, quali aterosclerosi, neurodegenerazione e neoplasie.
CELLFOOD®
è una formula altamente concentrata contenente 78 elementi e minerali in forma ionica e
colloidale presenti in tracce, combinati con 34 enzimi e 17 aminoacidi, il tutto sospeso in una soluzione di
solfato di deuterio. La miscela è ricavata da alghe rosse che vivono in ecosistemi marini incontaminati, i cui
elementi vengono estratti criogenicamente e non chimicamente. I minerali contenuti in CELLFOOD®
coprono quasi l’intera tavola periodica e comprendono quelli dotati di potenziale azione antiossidante. Gli
amminoacidi presenti nella formulazione di Deutrosulfazyme® soddisfano quasi interamente la gamma di
quelli essenziali per l’adulto e per lo sviluppo del bambino e sono preziosi precursori sia di proteine ad
azione strutturale o funzionale, che di antiossidanti.
Gli enzimi costituiscono un elemento peculiare della formulazione di Deutrosulfazyme®
: essi catalizzano
numerose reazioni e quelli dotati di azione antiossidante contribuiscono a difendere l’organismo dall’attacco
delle specie radicaliche dell’ossigeno (ROS) (www.eurodream.net).
Come già descritto, le cellule cancerose catabolizzano i nutrienti in un modo differente rispetto alle normali
cellule differenziate: le cellule sane traggono energia dal processo di fosforilazione ossidativa mitocondriale
attraverso il ciclo di Krebs, mentre le cellule tumorali prediligono la via glicolitica (Figura 12 pannello a
sinistra).
Figura 12: Fenotipo glicolitico, tipico della maggior parte dei tumori solidi, associato ad uno stato antiapoptotico e pro-proliferativo (pannello a sinistra) e ossidazione del glucosio, tipica della cellula normale,
associata a stato apoptotico e antiproliferativo (pannello a destra) (17).
Molti farmaci antineoplastici (36) e numerosi estratti di origine naturale (37, 38) agiscono con diverse
modalità per ripristinare la via energetica mitocondriale. In questo contesto CELLFOOD®
si pone tra le
miscele naturali potenzialmente in grado di determinare lo shift metabolico in vitro, ripristinando la
normale attività mitocondriale e rendendo le cellule tumorali di nuovo suscettibili all’apoptosi (Figura 12
pannello a destra).
Come descritto nei successivi capitoli, le prove sperimentali condotte su linee tumorali in coltura hanno
infatti dimostrano che CELLFOOD®
è in grado di ridurre la proliferazione cellulare attraverso un meccanismo
apoptotico, documentato da un’aumentata attività della proteina pro-apoptotica caspasi-3 e dalla
frammentazione del DNA, tipica della fase tardiva dell’apoptosi.

 

Con tutta probabilità il pathway apoptotico coinvolto è quello mitocondriale. L’induzione dell’apoptosi da
parte di CELLFOOD®
è verosimilmente legata alla perturbazione del metabolismo energetico della cellula
tumorale; infatti nelle linee tumorali trattate con CELLFOOD®
è stata osservata una riduzione dell’attività
dell’enzima LDH e della quantità di lattato rilasciato nell’ambiente extracellulare rispetto alle cellule non
trattate (41). Inoltre CELLFOOD®
si è dimostrato in grado di inibire il fattore ipossico HIF-1 che svolge un
ruolo chiave nella regolazione del fenotipo glicolitico e di ridurre l’espressione del trasportatore di
membrana GLUT-1 dimostrando un chiaro coinvolgimento di CELLFOOD® nell’indurre modificazioni a livello
metabolico nelle cellule tumorali trattate (41).
6) Conclusioni e prospettive future
L’apoptosi è un processo legato alla produzione di energia mitocondriale; è dunque possibile ipotizzare che
CELLFOOD®
favorisca la riattivazione della via ossidativa mitocondriale, rendendo in questo modo la cellula
tumorale suscettibile all’apoptosi. Poiché molti farmaci antitumorali agiscono con diverse modalità per
ripristinare la via energetica mitocondriale e indurre apoptosi, nella pratica clinica CELLFOOD® potrebbe
costituire un valido supporto al trattamento antineoplastico e/o come chemopreventivo.
Aggiornamenti dalla ricerca
NUTRACEUTICA E MODULAZIONE FISIOLOGICA DELL’OSSIGENO:
CELLFOOD: DALLA RICERCA DI BASE ALLA PRATICA CLINICA
Serena Benedetti (a), Francesco Palma (a), Barbara Nuvoli (b), Rossella Galati (b).
(a) Dipartimento di Scienze Biomolecolari, Sezione di Biochimica e Biotecnologie, Università degli Studi di
Urbino “Carlo Bo”; (b) UOSD “Modelli Preclinici e Nuovi Agenti Terapeutici”, IRCCS Istituto Nazionale
Tumori Regina Elena, Roma.
Relatore: Dott.ssa Serena Benedetti
L’attività antiossidante e antitumorale dell’integratore CELLFOODTM (CF) è stata documentata negli ultimi
anni da diverse evidenze sperimentali sia in vitro che in vivo.
I primi studi in vitro hanno dimostrato che CF ha una elevata capacità antiossidante ed è in grado di
proteggere sia le biomolecole (glutatione e DNA) che le cellule (eritrociti e linfociti) dal danno ossidativo
indotto dai ROS (specie reattive dell’ossigeno) [1]. Allo stesso tempo, studi su cellule endoteliali in coltura
hanno evidenziato che CF permette di aumentare il consumo di ossigeno e la produzione di ATP,
promuovendo in questo modo l’attività ossidativa mitocondriale [2]. Complessivamente, CF è dunque in
grado di modulare l’ossigeno a livello cellulare, permettendo di trarre tutti i possibili benefici
dall’ossigenazione cellulare senza intercorrere nei processi ossidativi ad essa legati.
Tali evidenze in vitro sono state confermate anche da alcuni studi in vivo. La supplementazione con CF si è
infatti dimostrata efficace nel ridurre i livelli sierici di ROS in soggetti a rischio di stress ossidativo quali
atleti, fumatori e sovrappeso [3]. In pazienti con osteopenia, la somministrazione di CF ha permesso di
ridurre in maniera significativa i livelli sierici delle lipoproteine ossidate, coinvolte nell’insorgenza della
placca ateromatosa [4]. Analogamente, in pazienti con malattie neurodegenerative, il trattamento con CF
ha ridotto significativamente i livelli sierici di ROS con concomitante aumento della capacità antiossidante
plasmatica e dei livelli di glutatione [5].
L’elevata azione antiossidante di CF e la sua capacità di promuovere l’attività ossidativa mitocondriale
potrebbero essere alla base anche dei benefici clinici osservati sia in pazienti con fibromialgia che in atleti
professionisti. Nei pazienti fibromialgici il trattamento con CF attenua infatti in maniera significativa la
sintomatologia dolorosa, la debolezza muscolare, la stanchezza al risveglio e in generale i disturbi associati
alla riduzione del tono dell’umore [6]. In maratoneti e ciclisti professionisti, CF aumenta la disponibilità di
ossigeno con miglioramento delle prestazioni cardio-respiratorie e delle performance fisiche, con benefici
anche nel processo di adattamento durante il periodo di allenamento [7].
Ulteriori studi in vitro hanno dimostrato che CF possiede anche una efficace azione antiproliferativa nei
confronti di numerose cellule tumorali in coltura quali cellule leucemiche e cellule di mesotelioma,
melanoma, carcinoma del colon, polmone, vescica e mammella. Si è osservato infatti che CF induce morte
cellulare per apoptosi attraverso due meccanismi principali: da una parte altera il metabolismo glicolitico
cellulare riducendo l’espressione del fattore ipossico HIF-1α e del recettore di membrana per il glucosio
GLUT-1 [8]; dall’altra, agisce sui meccanismi di sopravvivenza della cellula tumorale riducendo l’espressione
di fattori chiave quali Akt, Bcl-2 e c-myc e favorendo l’espressione di regolatori del ciclo cellulare quali p53,
p21 e p27 [9].
A conferma di quanto osservato in vitro, recenti studi in vivo su modelli animali (dati in fase di
pubblicazione) hanno evidenziato che il pre-trattamento con CF previene la formazione della massa
tumorale nel 70% dei topi ai quali sono state iniettate cellule tumorigeniche di mesotelioma. Allo stesso
tempo, la somministrazione di CF a topi con mesotelioma migliora l’effetto della radioterapia anche in
combinazione con il trattamento chemioterapico (cisplatino + pemetrexed), riducendo l’espressione del
fattore ipossico HIF-1α.
In conclusione, gli studi scientifici fino ad oggi effettuati suggeriscono che CF può essere un valido
coadiuvante nella prevenzione e nel trattamento di varie condizioni fisiologiche e patologiche legate allo
stress ossidativo, dall’invecchiamento cellulare alla neurodegenerazione e al cancro. Grazie infatti alle sue
proprietà antiossidanti, ossigenanti e pro-apoptotiche, CF potrebbe essere un buon candidato nella
prevenzione oncologica e apportare importanti benefici clinici in associazione con la terapia antineoplastica
standard.
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