La Matrice EXTRACELLULARE e la Modulazione fisiologica…

La Matrice EXTRACELLULARE e la Modulazione fisiologica della carenza di ossigeno a livello cellulare Oltre l’integrazione.

La matrice extracellulare può essere definita come un complesso stabile ma dinamico di macromolecole disposto intorno alla maggior parte delle cellule dell’organismo a costituire un’ordinata intelaiatura tridimensionale. Se la cellula corrisponde agli spazi vuoti del sughero come osservò Robert Hooke con un classico paragone dal quale trasse l’origine stesso del termine di cellula come “piccola cella” – la matrice extracellulare è proprio il sughero.

Con l’enorme differenza che mentre il sughero è materia inerte, la matrice è sede di importanti fenomeni vitali.

Infatti, quando si afferma che gli organismi superiori sono costituiti da cellule, molto spesso ci si dimentica che tra queste esiste una matrice extracellulare, il cui peso secco è addirittura superiore a quello di tutte le corrispondenti cellule messe insieme.

La matrice extracellulare assume composizione diversa a seconda delle specie.

Per esempio, nelle piante, essa è composta principalmente di cellulosa mentre negli artropodi e nei funghi è costituita prevalentemente da chitina.

Nell’uomo la matrice extracellulare deriva dal mesenchima, il connettivo embrionale non ancora differenziato che, in una fase molto precoce dello sviluppo, si dispone tra l’ectoderma e l’endoderma per dare origine, in seguito, ai tessuti trofoconnettivali e muscolari. Taluni AA utilizzano il mesenchima come sinonimo di tessuto connettivo o, addirittura, di matrice, per sottolinearne, appunto, la specifica origine embrionale. A partire dalla fine dell’epoca embrionale, comunque, la matrice extracellulare assume una ben precisa struttura, assimilabile ad un colloide, di norma non calcificato, nella cui fase acquosa sono disperse fibre (collagene, reticolari ed elastiche) e macromolecole di natura essenzialmente polisaccaridica (glicosamminoglicani) e proteica (proteoglicani e glicoproteine).

In generale, le fibre collagene costituiscono l’intelaiatura tridimensionale di supporto dell’intera matrice, quelle reticolari formano una trama più fine intorno ai piccoli vasi sanguigni o all’interno dello stroma degli organi, mentre quella elastiche, infine, conferiscono la proprietà meccanica della distensibilità. I glicosamminoglicani, da soli o associati ad un core proteico – come proteoglicani riempiono gli spazi lasciati liberi dall’impalcatura fibrosa e, inglobando notevoli quantità di acqua, agiscono da efficaci “shock adsorber” (a questo complesso fortemente idrofilo corrisponde la cosiddetta “sostanza fondamentale” dell’istologia classica). Particolari glicoproteine, dette di “adesione”, consentono specifiche interazioni tra le diverse componenti della matrice extracellulare e tra queste e le cellule. Inoltre, in corrispondenza del polo basale di alcune cellule specifiche, generalmente adibite a funzioni di rivestimento e di protezione, quali le cellule epiteliali e quelle endoteliali, la matrice assume un aspetto decisamente compatto adattandosi ad una funzione prevalentemente strutturale, di sostegno, costituendo le cosiddette membrane basali, ove predomina la componente proteica. Infine, sono riconducibili a specializzazioni della matrice le strutture di adesione interposte fra cellule epiteliali adiacenti (giunzioni serrate o occludenti, giunzioni ancoranti e gap junction). Secondo le più recenti acquisizioni della biologia cellulare e della biochimica, la matrice extracellulare, infatti, non svolge solo una funzione strutturale di sostegno, conferendo agli organi forma e consistenza, ma protegge anche le cellule dai traumatismi. Inoltre, grazie alla sua particolare natura di gel fortemente idratato, consente un flusso incessante di molecole (nutrienti, mediatori chimici, farmaci e sostanze di rifiuto) tra il compartimento ematico e quello cellulare, facilitando la comunicazione fra le cellule e, ove previsto, orientandone la migrazione in risposta a specifici stimoli lungo ben precise direzioni. In particolare, l’interazione tra le cellule e componenti specifiche della matrice genera una serie complessa di segnali implicati nella regolazione della crescita, della differenziazione, dell’adesione e della motilità cellulare.

Non sono, poi, da trascurare alcune specifiche funzioni quali, ad esempio, la lubrificazione delle superfici articolari o dei visceri nelle grandi cavità sierose (pleure, pericardio e peritoneo) e, soprattutto, la compartimentalizzazione dei tessuti grazie alle membrane basali. Infine, la matrice extracellulare è la sede dove hanno luogo i processi reattivi, quali l’infiammazione e la risposta immunitaria, la riparazione delle ferite e l’accumulo di grasso e di altre sostanze nocive o non più utili.

“Una essenziale proprietà dell’Interstizio di Comel, studiata da Stagnaro S. clinicamente con la Semeiotica Biofisica, a partire dal 1988 (1-5), ma tuttora poco conosciuta agli Autori e quindi ai Medici, è quella di intervenire sulla Vasomozione Microcircolatoria, svolgendo un ruolo centrale nella visco-elesticità dell’interstizio.

Infatti, i glucosaminoglicani interstiziali, e specialmente le tre forme di Acido Jaluronico, fisiologicamente trattengono H2O e regolano il rapporto free water/bound water, partecipando attivamente alla distensibilità e contrattilità micro-vascoloparietale durante l’attività del “cuore periferico”, secondo C. Allegra, rappresentato dalle piccole arterie e arteriole di Hammersen.

A questo punto è utile pensare alla dinamica della vasomozione nell’unità micro-vascolotessutale del Fegato Steatosico, caratteristicamante alterata!

In realtà, la fisiologica vasomotility e la conseguente vasomotion sono essenziali per la conservazione della normale struttura/funzione dei sistemi biologici”. Dott. Sergio Stagnaro

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Con l’avanzare degli anni, la matrice extracellulare, per effetto anche dello stress ossidativo, perde progressivamente la sua integrità morfo-funzionale.

Così gli scambi metabolici si rallentano, la comunicazione tra le cellule viene compromessa e i residui tossici delle attività cellulari si accumulano innescando un pericoloso circolo vizioso che accelera i segni dell’invecchiamento. La pelle che è l’organo più sensibile alle alterazioni della matrice extracellulare, diventa atrofica e sottile a causa della disidratazione. Le articolazioni, a causa della riduzione delle capacità lubrificanti della sostanza intercellulare, perdono progressivamente la loro funzionalità con frequente insorgenza di rigidità ed anchilosi. Il processo di riparazione tissutale, data anche la difficoltà di comunicazione tra le cellule e i ridotti scambi metabolici, viene notevolmente rallentato con accumulo di sostanze lesive o non più utili. Le cellule risentono immediatamente delle alterazioni della matrice riducendo la loro capacità di assimilare i nutrienti ma anche di reagire all’azione dei farmaci ai normali dosaggi, con potenziali rischi da iperdosaggio.

In soggetti predisposti, inoltre, la perdita improvvisa o graduale delle proprietà biochimiche e funzionali della matrice facilita l’insorgenza o aggrava condizioni croniche e degenerative a carico di tutti gli organi.

Tra queste sono da segnalare i processi degenerativi cronici a carico delle articolazioni ma anche quelli conseguenti alla compromissione delle strutture di rivestimento delle grandi cavità corporee, che poggiano sulle membrane basali, quali i vasi sanguigni (con predisposizione all’aterosclerosi), le mucose respiratorie gastrointestinali e genitourinarie che diventano più sensibili all’azione di inquinanti esterni (con conseguente insorgenza di allergie, infezioni, fenomeni di autoimmunità). Infine, il trasporto degli ormoni e dei neurotrasmettitori diviene inefficiente e la sensibilità cellulare ad essi si riduce, facilitando l’insorgenza dell’ipotiroidismo, del diabete mellito, ecc. Appare evidente che qualsiasi forma di integrazione nutrizionale non può non tener conto delle singolari proprietà morfofunzionali e biochimiche della matrice cellulare.

L’ossigeno è a ragione considerato – almeno negli organismi aerobi, che sono poi le forme di vita prevalenti sul nostro Pianeta – l’elemento vitale per eccellenza.

Esso, infatti, accettando nel corso del metabolismo terminale gli equivalenti riducenti estratti dai vari nutrienti, consente di generare, attraverso la fosforilazione ossidativa, l’adenosintrifosfato, indispensabile per tutte le funzioni cellulari (metabolismo, accrescimento, riproduzione, movimento, etc.). Persino in forma radicalica, l’ossigeno gioca un ruolo determinante nei processi vitali, contribuendo, nelle specie più evolute, alla difesa contro microrganismi patogeni (virus e batteri).

E’ evidente che un’alterata biodisponibilità di questo prezioso elemento, specialmente se intensa e/o protratta nel tempo, avrà conseguenze deleterie sulle funzioni dell’intero organismo.

Nell’Uomo, in particolare, quando la pressione parziale di ossigeno (una misura della concentrazione del gas) scende, nel sangue arterioso, al di sotto del valore soglia di 60 mm Hg, i tessuti vanno incontro ad una condizione definita “ipossia”. Responsabili di quest’ultima possono essere una riduzione dell’ossigeno disponibile nell’aria inspirata (ipossia ipossica), un aumento dell’estrazione del gas da parte dei tessuti per rallentamento della velocità di circolo (ipossia stagnante), una riduzione della quantità totale di emoglobina circolante funzionalmente attiva (ipossia anemica) o, infine, un blocco, generalmente iatrogeno, della fosforilazione ossidativa (ipossia istotossica). Qualunque sia la causa, l’ipossia si accompagna ad uno stato di sofferenza tissutale, spesso subdolo, in quanto difficilmente riconoscibile, data l’aspecificità della sintomatologia (astenia, cefalea, mancanza di concentrazione, etc.). Infatti, solo quando la ridotta disponibilità di ossigeno diviene cronica, essa dà segni in qualche modo patognomonici (pallore, fragilità ungueale, crescita stentata dei capelli etc.).

Fino alla metà degli anni ‘50 si riteneva che l’ipossia fosse l’unico evento indesiderato in qualche modo riconducile ad un alterato “metabolismo” dell’ossigeno. In realtà, studi relativamente recenti hanno dimostrato che anche l’aumento della disponibilità dell’elemento – iperossia – può essere pericoloso, in quanto fa aumentare la probabilità di generare in maniera incontrollata specie chimiche altamente reattive, quali il radicale idrossile ed il perossido di idrogeno, di cui è ampiamente noto il potenziale istolesivo.

E’ ancora più recente la dimostrazione che fluttuazioni della pressione parziale di ossigeno – ossia abbassamenti del livello del gas nei tessuti seguiti da altrettanti innalzamenti – possono risultare pericolose almeno quanto l’ipossia o l’iperossia. Un fenomeno del genere, noto come ischemia-riperfusione, si verifica allorché il sangue affluisce copioso lungo un vaso in precedenza sede di un transitorio ostacolo – funzionale (es. spasmo con successiva dilatazione) o meccanico (es. trombosi con successiva lisi del coagulo) – alla circolazione. Fenomeni di ischemia-riperfusione avvengono fisiologicamente, allorché parti più o meno estese del nostro corpo sono sottoposte a fasi di compressione-decompressione (es. passaggio da una prolungata posizione seduta alla stazione eretta), oppure in condizioni francamente patologiche, come nelle ischemie d’organo e nella cosiddetta apnea notturna, ovvero per effetto indesiderato di specifici trattamenti (es. trapianti d’organo, interventi di by-pass, etc.). In tutti questi casi la transitoria ipossia provoca, attraverso un complesso meccanismo che vede implicati il calcio ed alcune proteasi, la conversione dell’enzima xantina deidrogenasi in xantina ossidasi. Quest’ultima, nel momento in cui la pressione parziale di ossigeno ritorna alla norma, utilizza il prezioso gas per produrre specie chimiche altamente reattive, quali il radicale idrossile e il perossido d’idrogeno, in definitiva responsabili delle lesioni tissutali da riperfusione. Da questo punto di vista, il fenomeno della ischemia-riperfusione è uno dei fattori primari responsabili del cosiddetto stress ossidativo, con ciò intendendosi uno squilibrio fra la produzione e l’eliminazione di radicali liberi. A tal proposito, evidenze sperimentali dimostrano che è possibile prevenire il danno da ischemia-riperfusione attraverso la pre-somministrazione di antiossidanti.

Appare chiaro da quanto sopra esposto che il mantenimento di un livello costante di ossigenazione tissutale – pur nei limiti della variabilità dettata dalla richiesta metabolica – è una condizione assolutamente indispensabile per una corretta funzionalità cellulare. Di ciò bisogna tener conto quando si vuol correggere uno stato di ipossia. In questa condizione, infatti, una somministrazione di ossigeno al di sopra di quella effettivamente richiesta può provocare la trasformazione parziale delle molecole del gas in radicali liberi istolesivi. E’ ampiamente noto, al riguardo, il nesso di causalità effettiva tra iperossia e fibroplasia retrolenticolare nei neonati ipossici. Ciò perché l’ossigeno, gas vitale per eccellenza, può trasformarsi, in determinate condizioni, in un vero e proprio killer cellulare.

Stress ossidativo e danno cellulare

E’ ormai acquisito che una serie di agenti fisici (radiazioni ultraviolette, campi elettromagnetici, etc.), chimici (benzene, idrocarburi clorurati, diossina, pesticidi, prodotti della combustione del fumo di sigaretta, metalli pesanti, etc.) e biologici (virus, batteri, funghi, tossine, etc.), variamente presenti e diffusi nell’ambiente, contaminando l’aria che inspiriamo, l’acqua che beviamo e gli alimenti che ingeriamo, favoriscono o provocano l’insorgenza di numerose malattie. Persino i pensieri che evochiamo e le emozioni che proviamo possono risultare negativamente influenzati, fino a compromettere la qualità della nostra vita. D’altra parte, per scelta personale o per condizionamenti socio-culturali, anche lo stile di vita, se scorretto, può diventare, attraverso un’alimentazione e/o un’attività fisica inadeguate – e, quindi, per il sovraccarico e/o l’inadeguata rimozione di cataboliti tossici o di radicali liberi – un fattore di morbilità o, addirittura, di mortalità.

Tutti questi fattori, spesso in sinergia negativa fra loro, colpiscono direttamente “al cuore” le cellule, riducendo in varia misura la biodisponibilità non solo dei nutrienti ma anche dell’ossigeno dal quale la vita stessa degli organismi aerobi trae la sua energia.

Ne derivano così situazioni, spesso sfumate dal punto di vista clinico (astenia, cefalea, irritabilità, disturbi del sonno, turbe dell’alvo, etc.), ove può trovare indicazione elettiva – nel contesto di misure atte a migliorare la qualità dell’ambiente, la salubrità dell’alimentazione e la congruità dell’attività fisica – l’assunzione di integratori alimentari.

Purtroppo, le formulazioni oggi disponibili – variamente indicate nel linguaggio anglosassone come functional food, nutraceutical, pharma food, phytochemical, etc. – spesso non hanno proprio i requisiti fisico-chimici atti a garantire un’adeguata biodisponibilità dei loro principi attivi e, qualora li possiedono, non sono in grado di correggere le fluttuazioni dei livelli di ossigeno che tendono continuamente ad ostacolare l’ingresso dei nutrienti nei vari cicli metabolici cellulari, con conseguente blocco del processo di “assimilazione”.

In tale contesto, CELLFOOD® appare, nell’attuale panorama dell’offerta degli integratori, come l’unica formulazione della quale è documentata in vitro la natura colloidale, presupposto indispensabile per l’interazione di qualsiasi nutriente con le biomolecole della materia vivente.

Così, già in fase di assorbimento mucosale, i principi attivi di CELLFOOD®, veicolati dalla struttura colloidale della formulazione, possono diffondere più facilmente, per affinità, attraverso le maglie della matrice extracellulare e guadagnare più agevolmente il sangue e la linfa e, di nuovo, attraverso la matrice extracellulare periferica, le cellule e i tessuti.

In quest’ultimo passaggio, è verosimile che i micronutrienti di CELLFOOD® “impregnino” la matrice extracellulare per poi essere gradualmente ceduti in funzione delle esigenze metaboliche cellulari. Di qui l’importante proprietà – per altri versi verificata per l’ossigeno di una biodisponibilità “on demand” anche dei principi nutritivi di CELLFOOD®. In altri termini, seppur in certi limiti, le cellule tenderanno ad assorbire solo le sostanze effettivamente necessarie in quel determinato momento, con una drastica riduzione del rischio sovradosaggio. Ovviamente, la perdita dell’integrità morfo-funzionale della matrice extracellulare alla quale contribuiscono in varia misura, attraverso lo stress ossidativo, l’età, l’inquinamento ambientale e lo stile di vita – può rappresentare un grosso ostacolo ai processi sopra descritti di bionutrizione cellulare.

Ma proprio in questi casi, ove l’ostinazione di taluni sanitari porta all’aumento inutile, se non dannoso del dosaggio dell’integratore dell’ultimo grido, CELLFOOD®, ancora una volta, grazie anche alle sue proprietà antiossidanti, “ripulisce” la matrice dai radicali liberi, consentendo ad essa di svolgere il preziosissimo ruolo di dinamico substrato per gli scambi metabolici e informazionali fra il torrente circolatorio e le singole cellule che compongono il nostro organismo. Ma cosa è esattamente CELLFOOD® e perché, al contrario di tanti altri prodotti, non ha competitor?

CELLFOOD® è un integratore naturale, regolarmente notificato presso il nostro Ministero della Salute, costituito da una miscela complessa di solfato di deuterio, 78 minerali, 17 amminoacidi e 34 enzimi in tracce che, insieme, costituiscono il “core” della cosiddetta formula di Everett Storey, un complesso di sostanze ottenute, attraverso un procedimento di estrazione non chimico, da fonti naturali incontaminate – fossili vegetali, piante, sorgenti minerali ed acque della Nuova Zelanda. La concentrazione bassissima di nutrienti rende la formulazione molto vicina concettualmente – ai preparati omeopatici, dei quali CELLFOOD® conserva i vantaggi, farmacocinetici, farmacodinamici e farmacotossicologici legati all’estrema diluizione dei principi attivi.

Inoltre, l’elevata conducibilità, l’alto potenziale “z” e la bassa tensione superficiale, rigorosamente documentate in soluzione da ben precise analisi di laboratorio – altro elemento esclusivo del prodotto – dimostrano che CELLFOOD® è un sistema colloidale, ossia allo stato fisico-chimico più idoneo a consentire ai suoi singoli componenti di interagire favorevolmente con i sistemi biologici e, in particolare, con la matrice extracellulare. Questa singolare proprietà garantisce assorbimento, distribuzione e biodisponibilità ottimali ai vari principi attivi, che possono, quindi, esplicare la loro azione in perfetta sinergia tra loro.

E proprio sugli aspetti più propriamente farmacodinamici, che CELLFOOD® dimostra di possedere realmente “una marcia in più”. Infatti, oltre a fornire preziosissimi nutrienti (amminoacidi e minerali), come atteso per un qualsiasi integratore, esso è potenzialmente in grado di attivare le funzioni mucosali a livello della superficie assorbente (grazie ai suoi 34 enzimi) e – attraverso un meccanismo biochimico innescato probabilmente dal solfato di deuterio – rendere biodisponibile ossigeno “on demand” – ossia nella giusta quantità ed al momento opportuno – ai tessuti a rischio di ipossia, evitando, nel contempo, che l’eventuale gas in eccesso, trasformato in radicali liberi, generi le caratteristiche lesioni da stress ossidativo (effetto antiossidante). Infatti, in vitro, CELLFOOD® aumenta la quantità di ossigeno disperso in acqua (test di rilascio dell’ossigeno) ma possiede contemporaneamente uno spiccato potere antiossidante (BAP test, Diacron International, Grosseto). In vivo, somministrato agli atleti, esso aumenta il livello di emoglobina (indice di risposta all’ipossia) ma riduce i valori del d-ROMs test (Diacron International, Grosseto) e, quindi, dei radicali liberi dell’ossigeno (indice di attività antiossidante).

Per queste sue singolari proprietà, benché non sia corretto parlare di “indicazioni”, non trattandosi di un farmaco, CELLFOOD® trova il suo impiego ottimale come coadiuvante non solo nelle classiche carenze nutrizionali (in particolare quelle legate all’attività sportiva agonistica), nelle sindromi asteniche e nei deficit immunitari, ma proprio in quelle condizioni dove altri integratori risultano inefficaci. Tra queste, la Sindrome Chimica Multipla, di recente riconoscimento nonografico da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ipossia e, in maniera apparentemente paradossale, lo stress ossidativo, situazione di squilibrio fra produzione ed eliminazione di radicali liberi, ritenuta corresponsabile dell’invecchiamento precoce e di oltre cento comuni patologie, come l’aterosclerosi, la malattia di Alzheimer, l’obesità, alcuni tumori etc.

Per di più, pur non essendo un medicamento, CELLFOOD® è l’unico integratore ad essere stato sottoposto, per volontà esplicita del produttore – in ottemperanza all’antico precetto “primum non nocere” – a studi di tossicità acuta, come la determinazione della DL50 (dose minima di prodotto in grado di indurre la morte del 50% della popolazione animale studiata). Come atteso, nel ratto, dosi della formulazione fino a 5 grammi per kg di peso corporeo (pari a 400 grammi di prodotto per un Uomo di 80 kg!), non sono risultate letali, confermando che CELLFOOD® è praticamente privo di tossicità acuta. A ciò si aggiunga che CELLFOOD® è disponibile, accanto alla preparazione “base”, a gocce, della quale si è finora parlato (formula Everett Storey), in ben altre 7 formulazioni ad uso sistemico ed una ad uso topico, per le più svariate “indicazioni”. Tra queste, le patologie osteo-articolari (CELLFOOD® silica gocce), la carenza di zolfo organico (CELLFOOD® MSM spray), il sovrappeso (CELLFOOD® DIET SWITCH gocce), l’iperomocisteinemia e le sindromi depressive e gli stati tossici (CELLFOOD® SAMe spray). E ancora, in comodo spray “ready to use” – unico nell’attuale offerta di mercato – CELLFOOD® trova indicazione elettiva nell’ipovitaminosi C (CELLFOOD® Vitamina C +) e nelle panipovitaminosi (CELLFOOD® Multivitamine spray), mentre nell’originale gel (CELLFOOD® oxygen gel), in sinergia con una o più delle formulazioni precedenti ad uso sistemico, aiuta a mantenere la pelle sana e a lungo giovane. In conclusione, CELLFOOD® si propone come un PASS PER IL BENESSERE, ovvero una formulazione unica al modo, con tutti i requisiti richiesti ad un integratore per mantenere o preservare il nostro stato di salute, ritardare l’invecchiamento e difenderci, con il supporto di un idoneo stile di vita, dagli effetti disastrosi dell’inquinamento e da pericolosi condizionamenti culturali. In conclusione, nell’intricato puzzle creato dal “doppio volto dell’ossigeno”, l’insieme delle evidenze sopra analizzate, suggerisce che Cellfood®, attraverso un meccanismo biochimico che è tutt’ora oggetto di grande interesse da parte dei ricercatori, è una formulazione, al momento unica al mondo, in grado di rendere biodisponibile ossigeno “on demand”, ossia nella giusta quantità ed al momento opportuno, ai tessuti a rischio di ipossia e, contemporaneamente, in modo apparentemente paradossale, evitare che l’eventuale gas in eccesso, trasformato in radicali liberi, favorisca l’insorgenza di lesioni da stress ossidativo (effetto antiossidante).

Questi dati oggi sono stati confermati da varie pubblicazioni internazionali effettuate dalle varie Università di Urbino, Siena, San Raffaele di Milano, Università di Milano, Istituto Tumori Regina Elena di Roma. Disponibili su PUB MED digitando la parola e nome CELLFOOD (Formula Everett Storey) nel motore di ricerca della stessa rivista medico scientifica.

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